Endometriosi - inizio da me

martedì 8 ottobre 2019
Dovessi raccontarvi cosa sia esattamente l’endometriosi occuperei pagine su pagine che potrei scriverci un libro. Per cui mi limiterò a sottolinearne gli aspetti, più semplicemente parlandovi della mia esperienza e diffondere l’informazione il più possibile.
 
Questo è un testo che scrissi il 7/12/18, il giorno in cui mi operarono e quando scoprii la malattia.
Tra la stanchezza, la vittoria mista alla sconfitta che ho avuto quel giorno, piansi per tutto il tempo. Era una liberazione troppo grande da tenere dentro ancora, e troppo cruda la sconfitta nel dover a tutti i costi accettare la malattia.

Fatto sta che mi trovavo in una situazione del tutto sconosciuta: prima operazione, prima battaglia.

In ospedale mi è venuta una tale voglia di scrivere, una tale compassione verso me stessa e per tutte quelle donne che ne soffrono, che ho dovuto scrivere di getto quello che mi sentivo di dire a tutte le guerriere:


“Il mio sorriso è questo, con gli occhi semichiusi e sì, la bocca un po’ storta. Riferisco questo sorriso a tutte quelle grandi Donne che, già adulte o ragazze come me, hanno avuto a che fare con insegnanti, datori di lavoro, ginecologi dove la malattia non veniva capita, mettendo così da parte anche la sofferenza, nascondendola ripetutamente. A ogni interrogazione, a ogni ora passata a lavorare (anche per turni massacranti) a ogni visita fatta con le lacrime e a ogni persona, o medico – esperto – che metteva in dubbio la malattia, deducendo che probabilmente fosse solo stress, oppure al contrario, dicendoti che figli non ne potrai avere, – senza uno straccio di prova. A tutti coloro che parlavano inutilmente, che provassero solo per un giorno ad essere me, e capire cosa vuol dire convivere con l’endometriosi. Menopause forzate, diete drastiche, zero sport, giornate intere passate a letto, terapie struggenti… e il resto posso anche risparmiarvelo. Ad oggi vi dico: informatevi, l’informazione è la prima diagnosi. Spero abbiate la fortuna di trovare medici competenti che capiscano subito la patologia di questa malattia e che ve la curino in tempo – sperando non ritorni. Ma cosa ancora più importante: fidatevi di voi stesse, ascoltate il vostro corpo, siate testarde, lottate e sorridete alla vita, sempre!”
                                                                 #lottoesorrido 🌻

Il pezzo con mia sorpresa è stato pubblicato dalla Fondazione Italiana Endometriosi. Ma la cosa che mi ha commosso ancora di più, sono i commenti, l’amicizia, e l’amore che ho ricevuto e condiviso con tutte quante voi! In questi casi davvero l’unione fa la forza e ne siamo la dimostrazione, giorno dopo giorno.


 
Vi racconto la mia storia e come l'ho scoperta


Fatemi pensare… com’è iniziata?

Ah sì, con i dolori.

Ho sempre avuto dolori da quando ho il mio primo ciclo – quindi potete immaginare una bambina di undici anni che già vede il ciclo come una cosa nuova, strana e che la spaventa un po’; metteteci pure il dolore dove mi ricordo, volevo già strapparmi le ovaie. 

Mi sono chiesta: “Si soffre davvero così tanto?” 

Vedevo tutte le mie amiche e compagne di classe, che sì lo avevano pure loro, soffrivano, ma chissà perché io dovevo perfino svenire, avere attacchi di nausea improvvisa, svegliarmi sudando freddo, piangendo e chiedere a mia madre di portarmi in ospedale perché non potevo più resistere ancora… andava a finire che mi prendevo una bella dose di antidolorifico, borsa dell’acqua calda e mi addormentavo dal dolore.

Questo è capitato sempre.

Dal periodo delle medie fino al liceo, mi sono ritrovata a saltare scuola tutti i mesi e mi vergognavo, pensavo di avere una soglia del dolore bassissima, di lamentarmi sempre – per un po’ di dolore che hanno tutte – e di avere quella che chiamano pigrizia mentale. Questo ha causato un gran numero di assenze durante gli anni scolastici e l’insoddisfazione personale; ma quello che mi ha permesso di portare a termine quello che volevo fare è stata solo la mia perseveranza.

Quello che dovrebbe risultare una conseguenza della nostra normale crescita per diventare donna, per me no non lo era. Era un’eterna sofferenza che lentamente si è rivelata sempre più logorante, lacerando ogni mio normale pezzo di vita quotidiana.

A vent’anni quando i crampi li avevo non solo durante il ciclo, ma anche per il resto del mese andando in ogni parte del mio corpo ho capito che non potevo andare avanti così, doveva esserci qualcos’altro. 

Inutile che vi spieghi l’inizio del mio calvario.

In cinque anni ho chiesto aiuto a cinque ginecologi diversi, uno ogni anno, e ognuno di questi mi ha fatta sentire sbagliata, fragile, strana, non abbastanza forte, non donna.

Questo però nel corso del tempo mi ha cambiata, e il mio carattere ha fatto sì che non ascoltassi più nessuno, se non me stessa.

Provando ogni tipo di anticoncezionale – e se dico ogni tipo credetemi, – uno dei quali mi ha causato depressione, (tanto per capirci, si tratta della spirale) assunto integratori, fatto diete e menopause farmacologiche, e chi più ne ha, più ne metta!

Il quinto anno dopo la terapia, l’ultimo pianto di dolore è servito – finalmente – a far capire al mio ginecologo che dovevo essere operata per capire cosa ci fosse.
Detto questo ho passato un anno a chiedergli di operarmi, ho passato anni invece a far capire a tutti che qualcosa non andava. Ma le risposte che ricevevo erano tutte contrarie, tutte che non credevano a una sola parola di quello che dicevo. Addirittura fino a qualche giorno prima dell’operazione mi sono sentita dire dall’ennesimo ginecologo: “Fidati, tu non hai niente, si vede dalla faccia che stai bene!”
Da cosa lo capiva, solo lui lo sa, e ancora oggi rimane un mistero.

Per mia sfortuna poi, l’endometriosi non si vedeva da una semplice ecografia perché era nascosta dietro l’utero; – anche se penso sia premura del ginecologo fare le dovute visite e accertamenti per controllare che non ci sia alcuna traccia.


Ci sono voluti sei anni per una diagnosi, probabilmente anche di più. Ma sono stati anni di lotta dove alla fine ho vinto – in parte – io.

Il momento in cui non mi sono sentita più quella sbagliata è quando sono uscita dalla sala operatoria con un chirurgo che mi affermava: “Sei una combattente”.
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